Nebida (Iglesias)

Panorama di Nebida

Durata dell’escursione: 1 giorno
Distanza del punto panoramico dal Residence Villa Ebner: 50 km
Coordinate del punto panoramico: 39.305733°  -  8.436987°
Luoghi da non perdere: Porto Flavia, Laveria La Marmora, Miniera di San Giovanni, Iglesias. 


A nord della spiaggia di Fontanamare la linea di costa intaglia il massiccio montuoso dell’Iglesiente, definendone il limite geografico occidentale. Qui il passaggio tra terra e mare appare assai brusco, un margine sfrangiato e irregolare per le forme dirupate dei versanti che sembrano continuare in acuminati isolotti rocciosi sparsi lungo tutta la costa. L’influenza della geologia sul paesaggio della zona è evidente: a seconda del tipo di roccia i rilievi non solo assumono forme diverse ma presentano una colorazione e spesso una vegetazione propria che li differenzia dalle zone circostanti.

Sui versanti prossimi al mare affiorano soprattutto scisti verdi e conglomerati metamorfici dall’inconfondibile colore rosso fegato su cui cresce una fitta vegetazione caratterizzata dalla frequente presenza di cuscini di euforbia.  A destra del panorama prevalgono invece calcari chiari rivestiti da una scarna macchia arbustiva composta perlopiù da cespugli di lentisco e fillirea; gli stessi calcari costituiscono poi la grandiosa parete verticale di Schina ‘e Monte Nai, sullo sfondo del panorama, e si continuano nel Pan di Zucchero, anticamente noto con il termine sardo di Concali su Terrainu, un lembo della costa rocciosa trasformato in isola dall’azione demolitrice del mare e di altri processi erosivi.  Infine, al centro del panorama, tra i conglomerati rossi emergono masse irregolari di rocce carbonatiche di natura diversa dai calcari precedenti, le stesse che formano gli isolotti minori presenti lungo la costa, faraglioni quasi privi di copertura vegetale. Questa varietà litologica è il segno di una struttura geologica complessa in cui si trovano alcune tra le rocce più antiche, non solo d’Italia, ma anche dell’intero continente europeo, e il cui significato è tale da suscitare l’interesse degli studiosi a livello mondiale. In particolare, nella conformazione delle rocce è registrato il passaggio tra i periodi Cambriano e Ordoviciano, avvenuto 500 milioni di anni fa, evento che coincise con grandi sconvolgimenti che determinarono le sorti geologiche della parte di Sardegna allora esistente. Se queste peculiarità geologiche riguardano soprattutto pochi eletti del modo scientifico, di pari interesse ma di ben altro significato sono le caratteristiche minerarie della zona. Qui, nel territorio circostante ai paesi di Nebida e Masua, si trovano alcune tra le più importanti miniere di galena e blenda della Sardegna, minerali utili per l’estrazione di piombo e zinco a cui si associa spesso una percentuale sfruttabile anche di argento.  E’ all’attività mineraria, iniziata nella seconda metà dell’800 e dismessa sul finire del secolo scorso, che si deve lo sviluppo degli insediamenti umani nella zona, le cui tracce, ancora ben visibili nel territorio, costituiscono alcuni elementi fondamentali del paesaggio. Alle ampie cavità lasciate dalle escavazioni lungo i principali rilievi calcarei, fanno da contorno depositi di detrito di miniera, in parte mascherati dalla ricrescita della vegetazione naturale. Più estese discariche di detrito occupano poi i versanti prospicienti la costa: non provengono direttamente dalle miniere ma sono residui delle prime fasi del processo di lavorazione del minerale grezzo adottato nel passato. A questi segni, scontati per un’area mineraria, se ne aggiungono di più significativi, divenuti ormai patrimonio di archeologia industriale e quindi parte integrante della cultura locale. Sono le infrastrutture di base dell’attività mineraria stessa, prima fra tutte la Laveria Lamarmora, sede del processo di arricchimento del minerale grezzo.  Imponente ma al tempo stesso elegante, questo edificio con archi in pietra realizzato nel 1897 che oggi corrisponderebbe a un anonimo capannone industriale, grazie al suo stile architettonico e alle caratteristiche costruttive risulta perfettamente inserito nel paesaggio arrivando a conferirgli una forte connotazione culturale. All’intorno di questo vero e proprio monumento si riconoscono altri elementi d’interesse, tra cui edifici minerari minori e il tracciato dei vagoni per il trasporto del minerale grezzo dalla miniera alla laveria, ora trasformato in belvedere turistico.

Lo stesso paese di Nebida, così come quello di Masua, non visibile nel panorama, deve la sua origine allo sviluppo dell’attività mineraria. In entrambi i paesi persistono ancora tracce vivissime del passato sia recente, sia remoto.  Tra queste, gli immensi depositi di fanghi di risulta dei processi di lavorazione del minerale, in uso fino alla seconda metà del XX secolo, occupano totalmente la valle di Masua, costituendo tra l’altro un potenziale pericolo sia per l’assetto idrogeologico della zona che per la concentrazione di metalli pesanti nelle falde acquifere. Qua e là, edifici residenziali di notevole fattura, pur in stato di abbandono fanno ancora bella mostra di sé testimoniando di un’epoca d’oro orma definitivamente tramontata. Ma forse le tracce più eclatanti si trovano, com’è lecito aspettarsi per un’attività mineraria, nelle profondità della terra.  Ne è un esempio l’esistenza tra le miniere a monte di Nebida e la laveria Lamarmora di un pozzo collegato a una profonda galleria orizzontale utilizzata per il trasporto del minerale. Lo stesso promontorio calcareo di Schina ‘e Monte Nai porta al suo interno una struttura che ha avuto un ruolo chiave nello sviluppo minerario dell’intera zona: per diminuire i costi del trasporto del minerale estratto, nel 1925 l’Ing. Cesare Vecelli vi fece realizzare una struttura che agevolava enormemente l’imbarco del minerale sulle navi mercantili. L’intero sistema di carico, chiamato Porto Flavia dal nome della primogenita del suo ideatore, consisteva di nove enormi silos scavati all’interno della montagna per una capienza complessiva di circa 10.000 ton di materiale. Tramite una serie di gallerie il minerale veniva prima stoccato nei silos e quindi inviato al punto d’imbarco, situato sulla falesia a strapiombo sul mare a una quindicina di metri di altezza.  Da qui il minerale veniva imbarcato sulle navi sottostanti grazie a un pontone metallico che garantiva una capacità di carico di 4.000 tonnellate all’ora. Questa ardita opera di ingegneria, ancora integra nella sua struttura essenziale, è stata attrezzata per visite guidate e costituisce una delle maggiori attrattive turistiche del Parco Geominerario della Sardegna. Una risorsa che si aggiunge a un paesaggio di straordinaria bellezza le cui componenti principali: il complesso insulare dei faraglioni e del Pan di Zucchero, la falesia di Schina ‘e Monte Nai, e, più a nord, il Canal Grande lungo la costa verso Cala Domestica, sono stati dichiarati monumento naturale.

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